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venerdì 14 gennaio 2011

postulati sull'amore: la parola


Intesa come letteratura, certo. Considerata da alcuni persino un dono, quella della parola è una storia strana.

Le parole possono essere pericolose, specie se dette a sproposito. Quando una parola è scritta, però, non è che tu la prendi e la butti via così, come se stessi parlando. No; prima la mastichi un po’, ci rimugini sopra, e solo quando ti sembra adeguata la sistemi sul foglio, in modo che faccia la sua porca figura. Ecco che, insieme alle altre, questo magnifico insieme, ‘sto paroliere, si mette in moto, creando un ritmo tutto suo, una musicalità, insomma. Tu non puoi niente, anzi capitano quelle volte in cui proprio non riesci a fermarti. Le tue dita diventano un semplice complemento al servizio del testo, come se si stesse generando da sé.

Mille aneddoti come questo non servirebbero a rendere chiaro perché ci si innamori della letteratura. Non credo sia tanto una questione di cultura, che detta così sembra qualcosa a sé stante, di passato e dimenticato sotto un metro di polvere.

Son piaceri sottili, che nascono da soli, molto lontano dai banchi di scuola. Certe cose non si imparano, mica è come andare in bicicletta. Alla fine leggere piace o no. Si vive lo stesso anche senza. Sono convinto però che esistano parole troppo belle per essere espresse con la bocca; andrebbero subito perse in una folata di vento, nel latrato di un cane oppure, se piove ed è autunno, confuse per terra in mezzo alle foglie umide. Per questo ogni tanto si sente il bisogno di scrivere: non perché sia un gesto “alto” o nobile, ma per il semplice fatto che ci sono cose che proprio non avrebbero senso, riferite a voce.

Ma allora ogni parola, basta che sia scritta, può essere considerata automaticamente letteratura? Anche, che so, le insegne dei negozi, chè stanno lì in alto e tu, passando, le leggi (magari ad alta voce); sono letteratura anche quelle?

Proviamo: MERCATONE UNO.

Hm, non proprio. Però cerchiamo di vederla in maniera creativa. Prendiamo una locuzione verbale semplicissima, da tipico caso d'interrogazione alla lavagna:


Francesco mangia la mela

Nessuna emozione, nessuna armonia, calma piatta. Eppure, se si prova ad invertirne il senso, possono venir fuori delle soluzioni interessanti. Ad esempio:

Mangia la mela Francesco

Che suona un po’ come un imperativo, tipo il padre di Francesco che sta intimando al figlio di terminare il pranzo perché è tardi e poi deve sparecchiare. O ancora:


Francesco la mela mangia

Il che è veramente ambiguo, perché non si capisce bene se la frase sia pronunciata dal maestro Yoda o se questa volta sia Francesco ad essere mangiato.

Con questo non intendo dire che leggere sia il “cibo” di qualcosa; a proposito, dopo quella pubblicità del consiglio dei ministri, nella quale ricche signore si passano un libro di mano in mano mentre prendono il sole in un giardino vittoriano, pare che un barbone abbia cercato di far passare un’intera edizione dei Promessi Sposi attraverso l’orifizio anale di un’ignara donna sulla sessantina mentre usciva dal supermercato (il Mercatone Uno).

Visto come si può cadere in fraintendimenti, a causa delle parole? In questi casi un’azione decisa risolve tutto in poco tempo.

Più o meno come me adesso, che prendo queste righe e clicco su “pubblica post”.

Sono vostre.

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