lunedì 31 maggio 2010

il cimitero delle mosche


Lo studio da lavoro di Bastièn era posto all'ultimo piano di casa sua. Lì si crogiuolava per delle ore sulle nuove cose che gli venivano in testa, che diventavano subito vecchie nel momento in cui venivano appollottolate e lasciate cadere sul pavimento.
Bastièn camminava avanti e indietro, un gran su e giù, senza riuscire a darsi pace. Non sopportava l'idea di usare il solito meccanismo trito e ritrito, per cui si debba partire da un'immagine simbolica e, dandone indirettamente il contenuto, esprimere un concetto, fine della storia e tanti saluti. Avrebbe voluto andare avanti, compiere il passo che gli permettesse di raggiungere il livello successivo, ma niente.


Un giorno, lanciando uno degli ordinari fogli appallottolati, Bastièn si accorse di un gran numero di mosche morte, raggruppate ad un angolo del suo studio. Nessuno pulisce da settimane - pensò - devono essere qui da qualche tempo.
Bastièn si chiese come fosse possibile morire così: dopo aver raggiunto il piano più alto delle tue aspirazioni, dietro un vetro, guardando l'esterno senza riuscire a prendervi parte.

Quelle se ne stavano lì, nere e sfatte, con le zampette rivolte verso il soffitto lontano, insieme a tutte le sue idee incapaci di volare.



°Disegno by me

martedì 11 maggio 2010

lunga è la notte e senza tempo

Non è vero, come recita uno degli slogan più in voga nelle manifestazioni, che "Peppino è vivo e lotta insieme a noi". Peppino Impastato è stato ucciso dalla mafia la notte del 9 maggio di 32 anni fa. In questo modo il suo paese, ma non solo, è stato privato di un attivismo politico e di uno spirito d'innovazione per quel tempo rivoluzionari. Purtroppo di persone come lui, con le palle, l'intelligenza e l'integrità morale di cambiare veramente rotta, ne nascono poche. Peppino Impastato non usava vecchi discorsi di partito per comunicare, conosceva l'arte dello sfottò e della satira e le impiegava per mettere in ridicolo il boss al quale la sua famiglia doveva tutto. Questa irriverenza faceva paura a molti. Le autorità cercarono addirittura di far passare l'attentato per un suicidio, tanto era il timore che potesse diventare un simbolo. Il suo sacrificio però ha dato un insegnamento importante ad altri, meno riflessivi e più prudenti di lui.
Quella di insabbiare ogni cosa è una propensione che nel nostro Paese, oggi come allora, continua a verificarsi. Non si può guardare a determinate situazioni come semplici avvenimenti passati; quante persone comuni continuano ad aderire al sistema mafioso, con il loro silenzio e la loro indifferenza? Quanti di quelli che si ribellano ricevono un sostegno reale? E quanto c'è stato, negli ultimi dieci anni di lotta Antimafia, di veramente rivoluzionario? Sono interrogativi che probabilmente tutti dovrebbero porsi.
Specialmente in questi anni di connivenza tra mafia e Stato, urge il bisogno di andare avanti con tutti i mezzi a nostra disposizione, per onorare la memoria di Peppino e di altri coraggiosi, geniali e pazzi com'era lui.


°Nella foto, 9 maggio a Cinisi by me

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